Pubblichiamo l’intervento conclusivo del Presidente della Provincia di Fermo Fabrizio Cesetti al Convegno UPI su “Province 2020 - Progettare e misurare il Benessere in tempo di crisi”.

Concludere una discussione su un tema come “il benessere e la politica in tempo di crisi” è un’impresa ardua perché è alto il rischio di scivolare nella retorica, per almeno 2 motivi.

Da un lato, la difficile situazione economica che coinvolge l’Europa ed in particolare il nostro Paese non agevola quel processo di cambiamento strutturale di cui oggi le nostre Comunità hanno impellente bisogno.

Dall’altro, la politica e la nostra classe dirigente, diciamocelo chiaramente e con onestà, fatti salvi alcuni casi ancora troppo isolati, non appare all’altezza della sfida dei prossimi 10 anni, perché viaggia su un binario ancora troppo lontano dai reali bisogni della gente comune, dei nostri giovani, delle famiglie, di chi cerca un lavoro, dei nostri anziani, delle nostre piccole imprese.

Eppure i dati ufficiali, resi noti dall’Istat nel Rapporto Annuale 2010, ci devono far riflettere, una volta per tutte, oggi più che mai: da almeno 10 anni ci dimostrano che non c’è più crescita economica (nel nostro Paese lo scorso anno il P.I.L. è cresciuto, se non vado errato, dell’1,3% contro una media europea dell’1,8% e purtroppo anche le previsioni a medio termine sono modeste).

Ma soprattutto, “a forza di non crescere”, si manifestano ormai in tutta la loro virulenza alcune tendenze di deriva che rischiano di sfociare in vero e proprio declino sociale.

E badiamo bene. Non sono più segnali ma vere e proprie tendenze.

L’Istat ci ricorda ad esempio che il Tasso di Povertà della nostra popolazione ha raggiunto il 24,7%, il che ha già determinato una riduzione del risparmio delle famiglie il cui tasso è oggi il più basso dal 1990 ed è sceso sotto la media dei partner europei.

I giovani sotto i 30 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione sono circa 2 milioni e il 18,8% degli studenti lascia gli studi anzitempo contro una media europea del 14,4% e sinceramente, almeno per come la vedo io, la rinuncia all’istruzione è il segno più brutto e pericoloso.

Se fino a qualche anno fa ci lamentavamo della “fuga dei cervelli”, oggi ci dobbiamo anche preoccupare della “fuga dei nostri giovani e dei nostri figli da se stessi” le cui conseguenze lascio a tutti immaginare.

Ormai da anni si è consolidata la consapevolezza, a partire dagli ambienti scientifici, che il Prodotto Interno Lordo (quel P.I.L. che da sempre toglie il sonno ad economisti, imprenditori e politici) non esprima minimamente il “tasso di reale Benessere di una Comunità amministrata”.

Da quel monito avveniristico e sognatore lanciato nel 1968 da Bob Kennedy (“il P.I.L. misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”) sono passati più di 40 anni e prima l’OCSE e in anni più recenti la stessa Commissione Europea con la Conferenza “Non solo P.I.L.” del 2007 hanno messo in campo le migliori energie intellettuali per addivenire ad una definizione scientifico-istituzionale condivisa del Benessere, dalla quale ripartire per governare il processo di cambiamento e misurare il reale tasso di qualità della vita.

Come poi spesso accade, i francesi sono stati i primi in Europa a cercare di calare nella realtà il nuovo approccio con i lavori della “Commissione Stiglitz” cui è stato affidato il compito di studiare le modalità con cui è più efficace e funzionale al cambiamento misurare la performance economica e il progresso sociale di una paese, spostando l’attenzione dal concetto di produzione a quello di benessere.

È molto interessante, per noi italiani, l’esperienza francese che non nasce da una mera esigenza accademica ma dalla consapevolezza delle proprie peculiarità e dal desiderio di valorizzarne in termini socio-economici il loro contenuto.

Il Fondo Monetario Internazionale ha sentenziato che, fatto 100 il P.I.L. procapite degli Stati Uniti d’America, quello francese è intorno a 70 il che ha scatenato un’orgogliosa reazione dei nostri amici transalpini.

Se si guarda, infatti, al P.I.L. per ora lavorata, al contrario, i valori dei 2 Paesi sono quasi uguali, in pratica, al netto delle assenze dal lavoro la produttività è pressoché identica.

Il gap di “P.I.L. procapite” deriverebbe dal fatto che i francesi, a differenza degli americani, riescono a concretizzare le loro irrinunciabili esigenze per le attività non lavorative nel tempo libero.

È come se noi italiani volessimo rivendicare ad esempio, non per definizione ma nella pratica concreta di tutti i giorni, lo straordinario valore aggiunto di alcuni nostri asset quali i beni culturali, il paesaggio e l’enogastronomia e riuscissimo a misurarne oggettivamente l’incidenza sul “tasso di benessere” al di là del fatto che il P.I.L. procapite ci vede oggettivamente svantaggiati.

Il benessere va quindi ben oltre la “crescita economica”, condizione necessaria ma non sufficiente.

Il benessere è una “matrice doppia”, dipende sicuramente dal reddito disponibile ma anche dalla qualità dell’offerta di beni e servizi di cui un Paese riesce a disporre e soprattutto dalla reale possibilità dei cittadini di fruirne in modo efficiente, efficace, equo e sostenibile.

In altri termini, se anche si innescasse un nuovo processo di crescita ed il P.I.L. viaggiasse al ritmo del 3 – 4 per cento l’anno non avremmo alcuna garanzia di migliorare in proporzione il “tasso di benessere” delle nostre Comunità, né riusciremmo quindi a misurare tale tasso, se nel frattempo non avessimo creato le condizioni politico-amministrative per ridistribuire su larga scala la possibilità concreta per i nostri cittadini di accesso alle “fonti del benessere”.

Le fonti primarie (cioè i mezzi di sussistenza), quelle secondarie (come i beni di consumo), quelle terziarie (i servizi primari e quelli ormai irrinunciabili) ma anche quelle di “quarta generazione” (come godere dei nostri impareggiabili paesaggi, fruire dei nostri beni culturali, valorizzare il nostro tempo libero, praticare attività sportive, sviluppare le relazioni sociali).

Non esiste quindi solo il problema di misurare il benessere attraverso metodologie ed indicatori più adeguati rispetto a quelli della produttività, tradizionalmente utilizzati per rilevare il P.I.L., esiste prima di tutto il problema politico-amministrativo di “alzare l’asticella del benessere” per le nostre Comunità, il che comporta una doppia sfida.

Da un lato, quella di mantenere anzi sviluppare e qualificare l’offerta dei servizi reali al cittadino, dall’altro quella di garantirne l’effettiva fruibilità su scala diffusa anche oltre la soglia dei pur fisiologici vincoli di accesso.

È necessario dunque compiere uno sforzo eccezionale per non perdere più terreno, ed anzi riavanzare sul fronte sia dei servizi pubblici essenziali (come ad esempio la scuola, la sicurezza, la somministrazione della giustizia, la salvaguardia dell’ambiente e la sanità), che di quelli connessi ai bisogni di una nuova qualità della vita.

Nello stesso tempo occorre governare per ridurre i macroscopici squilibri interni di tipo territoriale, sociale e generazionale, tra chi possiede le risorse e le capacità per accedere alle “fonti del benessere” e chi oggi fa ancora fatica ad accedere a servizi primari o a far valere diritti irrinunciabili come il lavoro.

Se “alziamo l’asticella” senza preoccuparci di risollevare contestualmente la fiducia, le opportunità e le reali condizioni di vita dei nostri giovani, delle famiglie, degli anziani, dei nostri piccoli imprenditori e della gente comune, finiremmo per acuire ulteriormente i divari esistenti, già fin troppo marcati ai diversi livelli, ovvero faremmo un’operazione meramente accademica e quindi retorica.

Per questo motivo è molto apprezzabile che, dopo i primi anni di puro esercizio mediatico e di improbabili classifiche incentrate su un nuovo concetto di B.I.L. (Benessere Interno Lordo), di pura matrice letteraria, anche le nostre Istituzioni Scientifiche con in testa l’Istat dell’esimio Prof. Giovannini, che ha già maturato pregevoli esperienze sia nell’OCSE che nella stessa Commissione Stiglitz, si siano poste l’obiettivo di mettere a punto un nuovo sistema di indicatori per misurare il “Benessere Equo Sostenibile” (B.E.S.) che sottolinea a chiare lettere, almeno sulla carta, la volontà e lo sforzo di andare nella direzione che ho evidenziato sopra

Qual è dunque il ruolo della politica in questo processo di cambiamento, specie per noi Amministratori Locali?

Di fondamentale importanza ma di pura essenzialità, al punto che bastano pochissime parole per intenderci.

Riappropriarci del senso profondo, addirittura etimologico, del concetto di Responsabilità.

A me non sono mai piaciute le citazioni in inglese ma in questo caso mi sembra ancora più efficace: Response Ability, non un fardello da cui sfuggire come spesso purtroppo evoca il termine nella nostra cultura italiana, ma semplicemente la “capacità di dare risposte”.

E sarebbe bene che l’impegno politico di un uomo non prescindesse mai dal confronto quotidiano e concreto con la “capacità di dare risposte” e per questo motivo non è sufficiente viverlo dall’alto e scendere saltuariamente nelle piazze ma è indispensabile sperimentare i banchi del Parlamento e del Governo centrale o regionale tanto quanto quelli dell’Amministrazione Locale attiva.

Ed allora che senso ha parlare di benessere in tempo di crisi?

In realtà, personalmente, sposterei l’attenzione della domanda: che senso ha parlare di benessere nella società contemporanea?

Vedete, la vita dell’uomo è sempre fatta di paradossi.

In passato, quando la vita media era molto più bassa, i cicli erano molto più lenti ed il benessere era principalmente una dimensione interiore di tipo spirituale o intellettuale frutto di una folgorazione ovvero di un lungo processo di ricerca.

Oggi che la vita media dell’uomo è molto più lunga, i cicli sono estremamente veloci, talvolta effimeri e per questo motivo il benessere è una dimensione che dobbiamo permetterci di acquisire e mantenere giorno dopo giorno, nella quotidianità, poiché le opportunità sfuggono ed i bisogni cambiano con la velocità della luce.

Ecco perché si passa da un concetto principalmente filosofico del benessere ad una valenza socio-economica, come tale misurabile e governabile.

E lo aveva capito 40 anni fa Bob Kennedy quando affermava che il P.I.L. misura tutto, NEL BREVE, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Il tema del benessere viene oggi affrontato all’interno del “Festival della Felicità” di Pesaro Urbino e quindi sorge spontaneo chiedersi se ed in che misura il benessere coincida con la felicità o viceversa.

Sicuramente dal punto di vista lessicale benessere e felicità non sono sinonimi e tuttavia esiste tra loro, a mio modo di vedere, una stretta relazione.

Io da uomo pragmatico ho sempre pensato che la felicità non esistesse e tuttalpiù fosse l’emozione di un solo istante, finché recentemente mi è capitato di leggere il nuovo libro del noto manager-filosofo, guarda caso francese, Christian Boiron “Siamo tutti fatti per essere felici”, secondo il quale la felicità è una dimensione accessibile a tutti gli esseri umani.

Sostiene Boiron che mentre il piacere è una gratificazione passeggera di un solo individuo e solo per il tempo necessario a soddisfare un bisogno fisiologico, quindi è fine a se stesso, la felicità realizza pienamente l’individuo, favorendo la realizzazione dell’intero gruppo sociale.

E’ inoltre indipendente dallo stesso piacere e dalla sofferenza ed è per questo un diritto/dovere accessibile a tutti gli esseri umani attraverso l’esercizio armonico dei diversi sistemi che compongono strutturalmente il nostro cervello (cioè la nostra intelligenza).

E Boiron aggiunge una cosa importante, nel suo approccio manageriale, e cioè che “la felicità non si costruisce ma si distrugge ciò che la ostacola” ed in questo finisce per coincidere, a mio modo di vedere, con il benessere.

Faccio un esempio per tutti.

Quando noi tutti sosteniamo a parole che saremmo ben felici di fronte ad un paesaggio incontaminato che purtroppo finiamo per sacrificare perché subentrano anche altre esigenze, o facciamo solo retorica oppure dobbiamo avere il coraggio di distruggere ciò che ostacolerebbe il perseguimento di quella felicità.

Economia, Politica, Filosofia di vita, l’intreccio coerente di 3 punti di osservazione, ma con una consapevolezza per quanto riguarda la politica. In merito voglio riportare quanto da me letto in un recente editoriale sul Corriere della Sera.

I governi della democrazia - che siano di destra o di sinistra - a tutti i livelli istituzionali non esercitano il potere solo per spendere o per distribuire risorse. Esistono anche per difendere chi si trova in posizione di svantaggio, per tutelare gli interessi generali, per aiutare a vivere meglio.

E’ su questo piano, soprattutto, che la politica deve essere capace di agire e di trasmettere un messaggio in grado di arrivare all’opinione pubblica.

Ed è per questo che la stessa politica non deve avere occhi solo per l’economia, pensando che lì stia tutto. Non è così, perché ci sono moltissime ed importantissime cose che si possano realizzare senza spendere.

 

Il Presidente della Provincia di Fermo

On. Avv. Fabrizio Cesetti