Pubblichiamo la nota dell’UPI (Unione Province d’Italia) sui vizi di incostituzionalità e le incongruenze dell’art. 23, commi 14-21, del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, sulle Province.

Le disposizioni dei commi 14-21 dell’articolo 23 del decreto legge 201/11 sulle Province hanno un impatto profondo sulla forma di stato prevista dalla Costituzione e non possono essere inserite surrettiziamente in un decreto legge che ha l’obiettivo di salvaguardare le finanze pubbliche. Come emerge chiaramente dalla relazione tecnica non ci sono né i presupposti di necessità e di urgenza, né si determinano immediati risparmi di spesa.

Al contrario, queste disposizioni ingenerano confusione, pongono nel disagio le amministrazioni territoriali che oggi dovrebbero essere in prima linea a cercare di dare risposte alla crisi, causano disservizi per i cittadini e i territori, portano ad un sensibile aumento della spesa pubblica.

Le Province sono infatti le istituzioni intorno alle quali è stata costruita 150 anni fa l’Italia unita, riconosciute tra le autonomie locali dall’articolo 5 della Costituzione e sono oggi tra le istituzioni costitutive della Repubblica, in base all’art. 114 della Costituzione.

Dalle norme approvate, la Provincia esce completamente trasformata e diventa un ente di secondo grado adibito a funzioni di coordinamento delle attività proprie dei Comuni. Non esercita più l’attività di gestione amministrativa, né propriamente funzioni amministrative ai sensi dell’art. 118, comma 1 e 2, della Costituzione. La Provincia non è più ente esponenziale della popolazione provinciale: sia il Consiglio che il Presidente sono emanazione degli organi elettivi dei Comuni.

La normativa nei suoi aspetti sistematici è già in vigore, salva la definizione delle modalità attuative con successiva legge. Essa non si applica evidentemente alle Province delle Regioni a statuto speciale, ma non ci sono dubbi che si tratta di normativa incostituzionale perché il testo degli artt. 5, 114 e 118 della Costituzione non consente al legislatore ordinario di modificare la natura degli enti costitutivi della Repubblica, quali enti del governo territoriale rappresentativi delle rispettive comunità e tra essi equiparati quanto a natura e struttura.

Le disposizioni approvate sono pertanto palesemente in contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali che disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ed, in particolare, gli articoli 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118 e 119 della Costituzione e sono, altresì, incongruenti con i principi generali della disciplina degli enti locali del nostro ordinamento.

  • Il comma 14 viola l'art. 117, comma 2, lett. p) e l'art. 118, comma 2, della Costituzione, in quanto esclude che le Province abbiano funzioni fondamentali e funzioni proprie. Inoltre, affida alle Province funzioni di indirizzo politico e di coordinamento che possono essere giustificate solo da una sovra-ordinazione delle Province rispetto ai Comuni, non prevista dall’art. 114 della Costituzione e, a maggiori ragione, nel caso in cui le Province siano trasformate in enti di secondo grado.
  • Il comma 15 è apparentemente ammissibile, in quanto rientra nelle competenze del legislatore statale previste dall’art. 117, comma 2, lettera p), ma menoma la capacità di azione e di esecuzione delle Province ed è incongruente con quanto previsto dal testo unico degli enti locali, che può essere derogato solo con espresse modifiche delle sue disposizioni (art. 1, comma 4, D. lgs. 267/00).
  • Il comma 16 viola l’art. 1, l’art. 5 e l’art. 114 della Costituzione poiché lede l’autonomia delle Province che, nel diritto costituzionale italiano, sono qualificate come enti esponenziali di una comunità territoriale che si organizza democraticamente, secondo l’art. 1, con organi elettivi di diretta emanazione del corpo elettorale. In base al principio fondamentale dell’art. 5 della Costituzione “la Repubblica, una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, il legislatore non può quindi abolirle, limitarle, diminuirne l’autonomia politica o incidere sul carattere democratico dell’ente, che rappresenta uno dei requisiti essenziali dell’ordinamento repubblicano.
  • Il comma 17 viola lo stesso principio del punto precedente per illegittimità costituzionale derivata.
  • Il comma 18 viola l'art. 118 in quanto esclude che i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione si possano riferire alle Province e prevede il passaggio di competenze alle Regioni. E’ inoltre in palese contrasto con l’art. 120 della Costituzione poiché l’intervento sostitutivo dello Stato nei confronti della Regione non rientra nelle fattispecie ivi previste. Occorre considerare, infine, che questa disposizione causa non risparmi ma aumenti della spesa pubblica, oltre a notevole confusione amministrativa ed istituzionale. Funzioni recentemente trasferite alle Province dallo Stato e dalle Regioni, con il processo di decentramento amministrativo e con sensibili riduzioni di costi e di personale, ora dovrebbero essere ritrasferite a chi le ha decentrate.
  • Il comma 19 viola gli stessi articoli per illegittimità costituzionale derivata. Inoltre viola sensibilmente l'autonomia organizzativa delle Province che, a norma dell'art. 114, sono enti costitutivi della Repubblica con autonomia organizzativa e statutaria, dotati di potere regolamentare (in base all’art. 117, comma 6) per organizzare lo svolgimento delle funzioni attribuite, nonché l’autonomia finanziaria prevista dall'art. 119 della Costituzione, che prevede il finanziamento di tutte le funzioni attribuite attraverso i meccanismi del federalismo fiscale, recentemente approvati anche dal legislatore ordinario.
  • Il comma 20 viola l'art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo ed è in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto subordina il venir meno degli organi attuali ad una futura legge dello Stato di cui non vi è alcuna certezza.
  • Il comma 21, allo stesso modo, viola l'art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo e è in contrasto con il principio di ragionevolezza, poiché la norma è generica, non specifica alcuna modalità e si limita a statuire l'invarianza della spesa.
  • Infine, dalla relazione tecnica allegata al decreto, emerge chiaramente che queste disposizioni non vengono computate ai fini della riduzione della spesa e non portano alcun risparmio nel 2012, poiché rinviano a provvedimenti ulteriori. Anzi, gli effetti sono sovrastimati a consuntivo in 65 milioni di euro, senza tener conto delle riduzioni al numero degli amministratori provinciali introdotte dalla legge 42/2010 e dalla legge 148/2011, mentre non viene fatto alcun cenno ai costi aggiuntivi che derivano dal trasferimento ad altri enti delle funzioni provinciali, già evidenziati in precedenza dagli uffici studi parlamentari. E’ evidente, pertanto, che non ci sono i requisiti di necessità e di urgenza che legittimano l’inserimento di queste disposizioni nel decreto legge.

Sulla base delle considerazioni sovra espresse si propone, in conclusione, lo stralcio dei commi da 14 a 21 dell’art. 23 del decreto legge 6 dicembre 2011, n 201.